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Approfondimento

Da gestione della crisi d’impresa a gestione dell’impresa

Gabriele Felici Gabriele Felici

La riforma della Crisi d’impresa ha posto la sostenibilità del debito al centro delle condizioni per il mantenimento della continuità aziendale; il nuovo approccio prospettico alla gestione della crisi d’impresa punta sulla prevenzione (monitoraggio e valutazione del rischio) e sulla tempestività (sistema di allerta) quali cardini del modello legale di gestione dell’impresa.

L’adeguatezza degli assetti organizzativo, amministrativo e contabile anche in tale funzione è divenuto il nuovo paradigma gestionale sia quale obbligo giuridico cui rapportare la responsabilità degli organi societari in caso di default sia – soprattutto – quale opportunità per l’imprenditore per garantire il corretto ed efficiente svolgimento dell’attività, migliorando le performances.

Di certo il legislatore dell’attesa e laboriosa riforma della Legge fallimentare (R.D. n. 262/1942) non poteva immaginare che nell’anno di entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.lgs. n. 14/2019), inizialmente prevista – in generale – per il 15 agosto 2020 ed ora rinviata al 1° settembre 2021, sarebbe scoppiata una pandemia in grado, nel giro di poche settimane, di stravolgere il mondo.

In estrema sintesi, il razionale della riforma, peraltro in predicato di ulteriori rinvii, modifiche ed aggiornamenti, anche in attuazione della nuova (2019) direttiva comunitaria sull’insolvenza, è quello di considerare la crisi quale fase fisiologica della vita dell’impresa e di dover rilevare la stessa prima che degeneri in patologia, considerando tanto maggiori le possibilità del suo superamento e del recupero della continuità aziendale quanto tempestiva sia la sua emersione ed il conseguente intervento; la nuova disciplina, quindi, muove da una logica di prevenzione, basata sugli strumenti di allerta, con un approccio di tipo prospettico (forward looking).

Il tutto con l’esplicito obiettivo di preservare il valore e la relativa capacità di creazione di cui l’impresa è portatrice, a vantaggio di tutti i soggetti interessati e, quindi, dell’intero sistema economico.

Occorre avere ben presente, però, che la disposta proroga non ha riguardato le disposizioni del Codice della crisi già in vigore dal 16 marzo 2019 e, pertanto, vigenti da oltre due anni, in virtù di originaria eccezione alla previsione generale; tra queste, quelle riguardanti le modifiche al Codice civile (artt. 375 e ss. D.lgs. n. 14/2019) come, in particolare, gli assetti organizzativi dell’impresa e societari (artt. 2086, 2257, 2380 bis, 2409 novies e 2475 C.C.), la responsabilità degli amministratori (art. 2476 e 2486 C.C.) e la nomina degli organi di controllo (art. 2477 C.C.).

In particolare, si evidenzia che il nuovo secondo comma dell’art. 2086 C.C., quest’ultimo rubricato “Gestione dell’impresa”, dispone che l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura ed alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della stessa ed il recupero della continuità aziendale.

Tale disposizione, evidentemente, riverbera i suoi effetti in tema di conseguente responsabilità in capo agli amministratori ed agli organi di controllo, e già risultano provvedimenti dei principali tribunali italiani che hanno sanzionato situazioni di inadempimento in proposito.

Pertanto, se da un lato gli effetti dell’emergenza sanitaria hanno causato il differimento delle misure di allerta e la sopravvivenza delle vecchie procedure concorsuali, dall’altro hanno determinato le condizioni affinché la parte già in vigore della riforma e, potremmo dire, quella propedeutica alla stessa, avesse più veloce e sollecita attuazione.

Tale constatazione appare evidente considerando che nell’attuale fase emergenziale, che ha inciso pesantemente sulla dimensione finanziaria ed economica della gestione delle imprese, le stesse hanno dovuto necessariamente elaborare un piano d’emergenza (contingency plan), dotandosi di uno strumento di pianificazione e programmazione ed adottando strategie proprie per approccio, tecniche e metodologie, di quel profondo mutamento di prospettiva imposto dalla riforma per la salvaguardia ed il risanamento delle imprese in crisi, nella proclamata ottica di intervento tempestivo volto a scongiurare l’insolvenza.

Nell’attuale contesto è di fatto superato il tema della tempestiva rilevazione in quanto ogni impresa è, o dovrebbe considerarsi in potenziale crisi. Pertanto, dovrebbe adottare ed attuare gli strumenti previsti per il superamento della stessa ed il recupero della continuità aziendale, intesa come capacità di creazione di valore. Nell’ottica del risanamento ed in base al relativo piano (se necessario, anche con il supporto di una procedura), deve essere revisionato il modello di business, in considerazione del mutato contesto e delle differenti prospettive, rivalutando anche il modello e la struttura organizzativa.

Devono poi essere elaborate strategie per lo sviluppo dell’attività ed il recupero della redditività, anche mediante l’efficientamento delle strutture aziendali, deve essere rielaborata la struttura finanziaria, anche con il ricorso ad operazioni straordinarie ed infine, devono essere valutati strumenti liquidatori, in caso di assenza di migliori alternative perseguibili. In questa fase, quindi, le strategie e gli strumenti di gestione non possono che essere quelli tipici del risanamento e della ristrutturazione delle imprese in crisi.

Infatti, la profonda crisi provocata dal Covid non si è attualmente ancora manifestata in fenomeni di insolvenza, grazie all’effetto combinato dei provvedimenti del governo, di vario tipo, a supporto delle imprese e della rallentata attività dei tribunali.

La previsione, secondo una recente pubblicazione di Banca d’Italia, è che entro il 2022 potremmo registrare circa 6.500 fallimenti in più rispetto a quelli registrati nel 2019 (di cui una buona parte sono già previsti nel 2021).

Secondo l’ultimo outlook Cerved, invece, le imprese in area a rischio insolvenza a fine 2021 potrebbero arrivare a quota 115mila (con una proiezione di perdita del posto di lavoro per circa 300mila addetti), con un tasso di rischio, stimato al 4,5% dell’era pre - Covid, che salirà nelle attese al 6%, registrando una crescita di circa il 33% che sintetizza le difficoltà prospettiche a cui potrebbe andare incontro l’intero sistema.

Peraltro, sul fronte delle procedure di composizione della crisi di impresa ed in particolare, del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, si è intervenuti ulteriormente a livello normativo ed in senso agevolativo in materia di transazione fiscale e previdenziale (art. 3, comma 1-bis, d.l. 125/2020 convertito con modificazioni dalla l. 159/2020).

Sono state previste modifiche agli articoli 180 e 182 bis della Legge fallimentare che consentono al Tribunale di procedere, in base ad una valutazione di maggiore convenienza della proposta dell’imprenditore rispetto all’alternativa liquidatoria, all’omologazione del concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, anche in caso di “mancanza di voto”, o “mancanza di adesione”, da parte dell’Amministrazione finanziaria o da parte degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie, qualora l’assenso di questi sia necessario ai fini del perfezionamento della procedura compositiva della crisi.

In conclusione, la presente situazione promuove l’assunzione di quel nuovo approccio di tipo qualitativo nella gestione delle imprese alla base della riforma della crisi d’impresa (adeguatezza assetti aziendali), ossia il passaggio dalla consueta logica “come siamo andati / come andremo” ad una più evoluta “come poter andare meglio”, e sicuramente premierà le imprese che sapranno operare tale cambiamento, dimostrando reattività e resilienza, anche quale opportunità per migliorare le proprie performances, conseguendo un vantaggio competitivo oltre ad un “argine tecnico” (preventivo) alle responsabilità degli organi sociali.