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Parere dell'esperto

Creare valore internazionale partendo dal locale

L’impatto delle imprese sull’ecosistema (E – Environment), sulla collettività, la comunità locale di appartenenza e la gestione dei propri dipendenti (S – Social), assieme ad una governance trasparente (G – Governance), sono temi al centro dell’attenzione internazionale, disciplinati nel nostro caso, dall’Unione Europea e, sulla scia di questa, in modo indipendente da ciascuno stato. Si declina così, l’ambito d’azione delle tematiche ESG.

ESG e investimento socialmente responsabile sono temi che affondano le proprie radici negli anni 60 del secolo scorso, anche se la recente risonanza sembra avergli donato importanza e spirito nuovo. ESG può esser letta come la declinazione dei termini di sostenibilità, nella dimensione d’impresa, alla luce di un ampliamento del concetto di creazione di valore, non più solo economico, ma affiancato da valore etico, morale, ambientale e collettivo.

Negli ultimi anni, le crisi ambientali e la crescente volontà politica di agire a tal riguardo, hanno portato le tematiche ESG e i relativi strumenti di comunicazione, a diventare un aspetto critico nelle operazioni di un’azienda.

Oltre a svolgere un ruolo nelle decisioni inerenti a fusioni, acquisizioni, investimenti e disinvestimenti, le tematiche ESG evidenziano, secondo alcuni studi, una correlazione positiva con la performance finanziaria e la creazione di valore delle imprese. Con i temi ESG, si è dato il via ad una transizione verso un capitalismo più inclusivo e propositivo.

All’interno della vasta regolamentazione Europea, il regolamento Tassonomia dell’Unione Europea (Regolamento UE 2020/82), introducendo un sistema di classificazione delle attività economiche sostenibili, mira a superare l’assenza di definizioni condivise e a favorire la trasparenza e la comparabilità delle informazioni.

Nasce da qui la sfida, a livello operativo, di identificare nel complesso le attività economiche quelle che possono definirsi ecocompatibili, rispettando i tre criteri definiti dal Regolamento europeo. Un’attività economica per definirsi sostenibile deve:

  1. contribuire ad agire in maniera sostanziale ad almeno uno dei sei obiettivi ambientali fissati dal regolamento Tassonomia
  2. non causare significativo danno ad uno degli altri obiettivi
  3. rispettare alcune garanzie minime di salvaguardia sociale.

La complessità del tema, oltre alle relative difficoltà di applicazione, richiedono figure specializzate, atte ad assistere le imprese e le varie istituzioni, nel processo di cambiamento verso una maggiore sostenibilità (in senso ampio) e la correlata rendicontazione delle informazioni non finanziarie.

All’intero dell’ambito d’azione disciplinato della regolamentazione europea, in continuo divenire, ogni Paese europeo deve dotarsi di una strategia adeguata. I progressi ambientali variano infatti, da un paese all’altro ed ogni Stato Membro ha il proprio spazio d’autonomia nel determinare il percorso normativo da perseguire per il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi dell’UE. Le differenze di applicazione e il diverso “stato avanzamento lavori” tra i vari Paesi, sfociano in ulteriori elementi di complicazione, soprattutto per le imprese multinazionali.

Al fine di mitigare la nebulosità del tema ESG e le differenze tra stati, l’Unione Europea è attiva nella definizione di un nuovo quadro giuridico per un’economia sostenibile, tra cui si cita la definizione di standard condivisi di rendicontazione. Se da un lato risulta evidente l’impegno dell’Unione Europea a tal riguardo, le leggi non risultano così severe in altre parti del mondo. Negli Stati Uniti, ad esempio, le risposte ai temi ESG sono state pressoché volontarie e trainate dal mercato, anziché assumere la forma di nuove normative.

Durante la mia recente esperienza di secondment a Dublino, presso il team di corporate finance in Grant Thornton Irlanda, ho potuto constatare come la crescente richiesta di assistenza, di consulenza e di informazioni su tematiche ESG da parte delle imprese, assieme al ruolo sempre più cruciale che queste rivestono nelle scelte d’investimento, abbiano trovato risposta nell’assunzione di una persona dedicata con un consolidato background in finanza sostenibile e green bonds. Nel vissuto di tutti i giorni invece, ho potuto assistere ad una concezione della dimensione Social in alcuni aspetti più evoluta rispetto alla situazione italiana.

L’Unione Europea, dopo essersi concentrata sugli aspetti ambientali, sta attualmente lavorando anche a una tassonomia sociale. Quando si vive in paesi nordici, risulta più facile capire le potenziali ragioni per cui l’elemento Social della ESG possa sembrare secondario nella regolamentazione Europea, rispetto al tema ambientale (E).

Seppur, in generale, la strada da percorrere risulta ancora lunga, ho potuto constatare come nei Paesi del Nord Europa, temi come diversity, welfare aziendale, supporto ai dipendenti, fare impresa in modo sostenibile nei confronti dei propri dipendenti e della propria comunità d’appartenenza, risultano parte integrante delle imprese e consuetudini consolidate da tempo.

Alla luce dell’attenzione rivolta dagli organismi nazionali e internazionali ai temi ESG e, considerando la sempre maggior consapevolezza da parte di investitori ed imprese che i criteri ESG poterebbero diventare obbligatori verso un più ampio spettro di operatori, non c’è da rimaner sorpresi se queste tematiche e le relative ripercussioni sull’operatività e l’informativa aziendale, rimarranno al centro dell’attenzione per ancora molto tempo.

Da qui, nasce quindi un nuovo dilemma – quando si tratta di “greenwashing” e quando invece di “real sustainability”?