Parere dell'esperto

PMI e sostenibilità, pronti alle richieste di banche, filiere e mercato

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La strategia giusta per l’impresa di oggi integra la sostenibilità, non sembrano esserci più dubbi al riguardo; occorre promuovere la sostenibilità come asset imprescindibile con l’obiettivo di creare valore di lungo termine, a vantaggio delle imprese, del territorio e della comunità.

Integrare i principi ESG (Environmental, Social, Governance) nel proprio modello di business risponde, infatti, alle crescenti aspettative di stakeholder consapevoli e crea un vantaggio competitivo tangibile.

In tema di rendicontazione, il bilancio di sostenibilità evidenzia l’impegno di un’azienda nei confronti della sostenibilità e fornisce dati essenziali per stakeholder e investitori.

In via generale, le PMI non sono ancora destinatarie di obblighi immediati e diretti in materia (rendicontazione di sostenibilità prevista dalla direttiva europea Corporate Sustainability Reporting, CSRD, in vigore dal 1° gennaio 2024), ma per le stesse l’integrazione dei rischi e fattori di sostenibilità ESG e la relativa rendicontazione, su base volontaria, risultano, se possibile, anche più importanti e strategiche, determinando significativi vantaggi.

I benefici che il rendiconto ESG può offrire, infatti, sono molteplici, esaminiamo di seguito i principali.

In primo luogo, vi è un beneficio reputazionale, il bilancio ESG attrae clienti ed investitori consapevoli e posiziona l’azienda come leader nella sostenibilità.

Vi è poi il vantaggio del miglior accesso al mercato del credito, la pubblicazione di un bilancio ESG agevola l’accesso a finanziamenti bancari, anche “green” e con spread ribassati.

A tal proposito, si evidenzia che, come esplicitamente suggerito anche dagli ultimi orientamenti dell’EBA (European Banking Authority), l’evoluzione dei modelli di rating bancario richiede l’integrazione di variabili previsionali di natura prevalentemente qualitativa, inerenti alle dinamiche gestionali, organizzative e strategiche dell’impresa, tra le quali, con sempre maggior rilevanza, l’efficacia degli approcci adottati dall’impresa per gestite le variabili ESG.

Per essere adeguato in termini di efficacia previsionale il modello di rating deve dunque oggi essere in grado di rilevare, misurare e valutare la c.d. “doppia materialità” delle variabili ESG rilevanti, ovvero sia l’impatto che l’impresa esercita all’esterno sull’ambiente e sulla società (impact materiality), sia quello che l’impresa rischia di subire in seguito al mutamento di fattori climatici e sociali o al mutare delle richieste del mercato (financial materiality).

La stretta del credito per effetto dell’incremento dei tassi di interesse, quindi, può probabilmente essere mitigata se la relazione con le banche è accompagnata da valutazioni relative ai rischi ESG che si possono manifestare e che potrebbero compromettere la capacità dell’impresa di produrre flussi finanziari e conseguentemente rimborsare i debiti, sino a pregiudicarne la continuità aziendale.

Inoltre, vi sono le richieste delle “filiere”, ossia dell’appartenenza dell’impresa a catene del valore, quale cliente/fornitore, di imprese soggette ad obblighi di rendicontazione e due diligence di sostenibilità, ovvero dei gruppi ai quali quest’ultime appartengono.

Ci sono, ancora, gli aspetti dell’attrazione di investitori, investitori sensibili ai temi della sostenibilità possono essere attirati da un bilancio ESG, portando nuove risorse finanziarie in azienda, poi della differenziazione competitiva, il bilancio ESG distingue l’azienda dai concorrenti, offrendo un vantaggio competitivo attraverso l’impegno dimostrato verso la sostenibilità, ed infine della motivazione dei dipendenti, adottare pratiche sostenibili migliora la soddisfazione e l’impegno dei dipendenti, creando un ambiente di lavoro positivo e attraente.

A conferma di quanto esposto, l’analisi dei documenti presentati al Registro imprese tenuto da InfoCamere tra gli esercizi 2020 e 2022 svela un trend fatto di numeri ancora esigui, ma in costante crescita, evidenziando che i rendiconti di sostenibilità delle aziende italiane sono raddoppiati in tre anni.

Tale analisi mostra, inoltre, che si tratta per il 46% di piccole e medie imprese (PMI) con un volume di ricavi non superiore a 50 milioni di euro, che oggi non sarebbero tenute a presentare questa dichiarazione ma lo hanno fatto volontariamente.

Tra l’altro, il deposito della dichiarazione non finanziaria (DNF), oggi bilancio di sostenibilità, risulta una pratica da incoraggiare anche in virtù della sua crescente valenza in termini di trasparenza, ruotando il tutto intorno ai concetti di credibilità e affidabilità, in contrasto al rischio del c.d. “greenwashing”, ossia quelle pratiche di ripulitura superficiale dell’immagine aziendale, che rischiano di far precipitare i rapporti con gli stakeholder.

In tal senso la redazione e pubblicazione di un documento “ufficiale” è un atto più responsabile che vincola l’impresa e testimonia la reale sostanza del proprio impegno in ambito ESG.

La spinta verso la sostenibilità impone inoltre all’impresa di contribuire ad uno degli obiettivi E ed S, del trinomio ESG, operando in conformità alle prassi di buona Governance, tra cui è espressamente compreso il rispetto degli obblighi tributari (good tax governance). Le aziende italiane, per avere il controllo dei rischi fiscali, quale connotato del proprio essere sostenibili, necessitano di strumenti evoluti (tax control framework) e di prevenzione (cooperative compliance), che le mettano pienamente al riparo dalle conseguenze patrimoniali e reputazionali delle violazioni in cui possano incorrere.

Pertanto, non ci sono dubbi sull’indirizzo “obbligato” verso l’adozione volontaria dell’adeguata informativa di sostenibilità anche da parte delle imprese che non rientrano oggi nell’obbligo della dichiarazione di sostenibilità prevista dalla CSRD, che non rappresenta più quindi per le stesse un’opzione ma una effettiva attuale necessità.