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Il parere dell'esperto

Moratoria dei finanziamenti: rischi e opportunita’

Nell’ambito delle misure di sostegno per far fronte all’emergenza collegata all’epidemia COVID-19, introdotte dal Decreto Legge 17 Marzo 2020 n. 18 (c.d. il Decreto “Cura Italia”), si segnala l’art. 56 con cui vengono “bloccate”, fino al 30 settembre 2020, le linee di credito in conto corrente, i finanziamenti per anticipi su titoli di credito, le scadenze di prestiti a breve e rate di prestiti e canoni in scadenza.

Come specificato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze con nota del 22 Marzo 2020, la moratoria si articola nelle seguenti misure di sostegno finanziario:

  1. possibilità di utilizzare la parte non utilizzata delle aperture a revoca e dei prestiti accordati a fronte di anticipi su crediti esistenti alla data del 29 febbraio 2020 o quelli alla data del 17 marzo, se superiori. Gli importi accordati dalla banca o dall’intermediario finanziario non possono essere revocati, neanche in parte fino al 30 settembre 2020;

  2. proroga alle medesime condizioni fino al 30 settembre 2020 dei prestiti non rateali con scadenza prima del 30 settembre 2020;

  3. sospensione fino al 30 settembre 2020 del pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre 2020, per i mutui e gli altri finanziamenti a rimborso rateale, anche perfezionati tramite il rilascio di cambiali agrarie. Al riguardo il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha puntualizzato che il periodo di sospensione comprende la rata in scadenza il 30 settembre 2020, vale a dire che la rata in scadenza il 30 settembre non deve essere pagata. È facoltà dell’impresa chiedere la sospensione dell’intera rata o dell’intero canone o solo della quota capitale.

Nell’ambito delle misure, volte a sostenere le imprese in questo periodo di particolare difficoltà, si segnala anche l’accordo tra l’ABI e le associazioni di categoria, siglato il 7 Marzo 2020, avente ad oggetto la sospensione fino ad un anno del pagamento della quota capitale delle rate dei finanziamenti e l’allungamento della scadenza dei finanziamenti.

Davide Gabriele Savian - Partner Bernoni Grant Thornton

Destinatari

I destinatari della moratoria sono le micro, piccole e medie imprese (PMI), come definite dalla Raccomandazione della Commissione europea n. 2003/361/CE, operanti in Italia, appartenenti a tutti i settori.

Secondo la definizione della Commissione europea, sono PMI le imprese con meno di 250 dipendenti e con fatturato inferiore a 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro. Nella nozione di impresa, come specificato dallo stesso Ministero rientrano anche i lavoratori autonomi titolari di partita IVA.


Le formalità collegate alle richieste di moratoria: le comunicazioni agli intermediari

Come precisato dalla nota del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 22 Marzo 2020, le comunicazioni per accedere alla moratoria dei finanziamenti possono essere presentate dalle imprese dall’entrata in vigore del Decreto “Cura Italia”, cioè dal 17 marzo 2020. La comunicazione può essere inviata dall’impresa anche via pec, ovvero attraverso altri meccanismi che consentono di tenere traccia della comunicazione con data certa.

Nella comunicazione, l’impresa deve tra l’altro autodichiarare:

  • il finanziamento per il quale si presenta la comunicazione di moratoria;
  • di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza della diffusione del Covid 19;
  • di soddisfare i requisiti per la qualifica di microimpresa, piccola o media impresa.


Aspetti problematici collegati al rilascio della dichiarazione sostitutiva relativa al possesso del requisito soggettivo di PMI e all’attestazione relativa allo stato di crisi di liquidità.
 

Una volta chiarito l’ambito di applicazione soggettivo della norma e gli adempimenti correlati alla fruizione della moratoria, è opportuno ora chiedersi quali rischi possono essere correlati al rilascio di una dichiarazione sostitutiva falsa attestante il possesso del requisito soggettivo PMI e lo stato di crisi di liquidità, anche in considerazione del fatto che la richiesta di moratoria non può prevedere un automatico assenso ma va valutata rispetto alle prospettive di continuità che l’impresa è in grado di comprovare.

A tal proposito, è opportuno in primo luogo evidenziare che in diritto penale, il rilascio di un’autocertificazione falsa è riconducibile al reato del falso ideologico, previsto dall’art. 483 c.p., tutte le volte in cui si sia in presenza di un documento, non contraffatto né alterato che contenga però delle dichiarazioni menzognere.

Dall’esame della giurisprudenza di legittimità di merito e di legittimità, è emerso che il dolo viene escluso tutte le volte in cui tale falsità risulti essere semplicemente dovuta a una leggerezza o negligenza, dal momento che il vigente codice penale non prevede la figura del falso documentale colposo.

Più in particolare, come precisato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 33218 del 31 maggio 2012, per la configurabilità di detto reato deve escludersi che il dolo possa ritenersi sussistente per il solo fatto che l'atto contenga un asserto obiettivamente non veritiero.

E’ necessario invece verificare che la falsità non sia dovuta ad una leggerezza dell'agente come pure ad una incompleta conoscenza e/o errata interpretazione di disposizioni normative o, ancora, alla negligente applicazione di una prassi amministrativa, dal momento che il vigente codice penale, come sopra specificato, non prevede la figura del falso documentale colposo.

Pertanto, nel caso dell’autocertificazione richiesta dall’art. 56 prevista dal Decreto Cura Italia per l’attestazione del possesso dei requisiti dimensionali PMI, così come previsti dalla Raccomandazione della Commissione europea n. 2003/361/CE, non potrà essere contestato al sottoscrittore il reato di falso ideologico se la stessa autocertificazione sarà supportata da un’adeguata e rigorosa ricostruzione dei presupposti normativi (eventualmente per i casi più complessi potrebbe essere opportuno anche il supporto di un apposito parere legale/contabile) e di fatto sulla base dei quali ritenga di possedere il requisito dimensionale PMI.

Sul punto, allora, si segnala che sarà opportuno valutare attentamente il possesso dei requisiti dimensionali, specialmente in quei casi l’impresa appartenga ad un Gruppo di rilevanti dimensioni o sia partecipata da una società holding o da una investment company (o società di venture capital)[1].

Infatti, nell’esame dei requisiti dimensionali si dovranno tenere in considerazione le voci di bilancio di tutte le società appartenenti ad un Gruppo, così come chiarito dal Ministero delle Economica e Finanze il 27 Marzo 2020[2].

In tali casi, non è automaticamente esclusa la possibilità di beneficiare della misura dovendosi valutare una serie di altre condizioni che potrebbero in ogni caso consentire la fruizione.

Inoltre, qualora l’intermediario dovesse considerare che la moratoria sia solo un mezzo per ritardare ulteriormente l’emersione di una crisi irreversibile non dovrebbe concederla, pena il rischio di incorrere nel reato di ricorso abusivo del credito che prevede la reclusione da 6 mesi a tre anni per gli amministratori, i direttori generali, nei casi di dissimulazione dello stato di insolvenza.

Ciò detto, per quanto attiene alla dimostrazione dello stato temporaneo di crisi di liquidità, è opportuno che la dichiarazione sostitutiva e la richiesta di moratoria sia accompagnata da un business plan che deve essere accuratamente elaborato possibilmente secondo le “Linee guida alla redazione del Business Plan” (PDF) [ 568 kb ] emanato dall’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili (CNDCEC).

E’ evidente che tale documento deve affrontare con particolare cura gli effetti sullo specifico business aziendale della Emergenza Coronavirus focalizzando l’attenzione sulla dinamica DSCR (debit service coverage ratio) ovvero sul rapporto tra i flussi di cassa operativi (Free Cash Flow from Operations o FCFO) futuri e le rate dei finanziamenti oggetto, o meno, di moratoria.

Il documento dovrebbe in teoria dimostrare come l’allungamento concesso possa consentire di superare la situazione di impasse che deve risultare temporanea e non cronica.


Conclusioni
 

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, è evidente che se da un lato la moratoria può portare dei benefici anche di breve periodo, dall’altro è necessario che la richiesta sia supportata da una attenta valutazione di carattere strategico. A tal proposito, infatti, possiamo presumere che seppure la moratoria non implichi automaticamente la segnalazione in centrale rischi, la posizione aziendale potrebbe essere sottoposta dal momento della richiesta ad un particolare monitoraggio da parte degli intermediari finanziari dal punto di vista del merito creditizio. 

La condizione per la concessione della moratoria è infatti la difficoltà, seppure temporanea, che l’impresa dichiara di avere in termini di liquidità. Questo fatto determina che eventuali successive richieste di nuova finanza a quello stesso istituto di credito, formulate in un arco temporale breve, probabilmente saranno sottoposte ad una valutazione più rigida e severa.

Per tali motivi e per il rischio di carattere penale relativi al rilascio di dichiarazioni false e mendaci, è opportuno che la richiesta di moratoria venga inoltrata solo nei casi di effettiva necessità e che la stessa sia accompagnata da approfondimenti mirati circa il possesso dei requisiti soggettivi e oggettivi.

 

[1] Ad esempio, l’art.3 della Raccomandazione Comunitaria specifica che un’impresa può essere definita autonoma, dunque priva di imprese associate, qualora sia partecipata da società di capitale di rischio, persone fisiche o gruppi di persone fisiche, esercitanti regolare attività di investimento nel capitale di rischio (“business angels”)

[2] Il MEF in risposta al seguente quesito, “sono ricomprese nella definizione di PMI anche le imprese controllate da altre imprese (e dunque appartenenti ad un gruppo) il quale gruppo superi i parametri dimensionali di cui alla Raccomandazione CE per la definizione di microimprese, piccole e medie imprese?” ha chiarito che dette imprese “Non vengono ricomprese, in quanto per le imprese controllate da altre imprese è necessario fare riferimento ai parametri dimensionali del gruppo”.

Partner
Davide Savian Contatta Davide

Federico Feroci - Partner Bernoni Grant Thornton

Agevolazioni fiscali – Crediti d’imposta Decreto “Cura Italia”

Il Parlamento, in queste settimane, sta lavorando alla conversione del Decreto Legge 17 Marzo 2020, n.18 (c.d. Cura Italia), mentre il Governo ha emanato un nuovo decreto (c.d. Decreto liquidità, D.L. 08/04/2020, n. 23) per introdurre ulteriori misure di aiuto all’economia, alle imprese, ai professionisti, ed alle famiglie.

Il Parlamento, in queste settimane, sta lavorando alla conversione del Decreto Legge 17 Marzo 2020, n.18 (c.d. Cura Italia), mentre il Governo ha emanato un nuovo decreto (c.d. Decreto liquidità, D.L. 08/04/2020, n. 23) per introdurre ulteriori misure di aiuto all’economia, alle imprese, ai professionisti, ed alle famiglie.

Il decreto “Cura Italia” che ci troviamo ad analizzare è il primo intervento organico, dopo i DPCM varati per contrastare in prima istanza l’emergenza “sanitaria”, con cui il Governo si pone tre obiettivi prioritari:

  1. proteggere la salute dei cittadini;
  2. sostenere il sistema produttivo;
  3. salvaguardare la forza lavoro.

La chiave di lettura del “pacchetto” normativo in analisi è la frenata esponenziale del contagio e contemporaneamente il sostegno alle attività produttive per evitare che il rallentamento (se non l’arresto) della produzione abbia effetti permanenti. Gli aiuti alle imprese sono caratterizzati da misure di supporto fiscali, finanziarie e creditizie con l’obiettivo di iniettare liquidità nel sistema in vari modi, alcune destinate alla platea delle piccole e medie imprese, altre alle realtà di maggiori dimensioni. In particolare, la normativa prevede il riconoscimento dei seguenti crediti d’imposta che, mediante la compensazione, permettono un risparmio fiscale immediato:

  1. Credito d’imposta per la sanificazione degli ambienti di lavoro (rappresenta una novità ed è valevole per il solo anno 2020);
  2. Credito d’imposta per i canoni di locazione di botteghe e negozi (rappresenta una novità ed è valevole per il mese di Marzo 2020);
  3. Credito d’imposta straordinario per gli investimenti pubblicitari (si tratta di una modifica della previgente normativa ed è valevole per il solo anno 2020);
  4. Credito d’imposta per la trasformazione di imposte anticipate relative a perdite ed eccedenze ACE (rappresenta una novità ed è valevole per il solo anno 2020);
  5. Credito d’imposta per le edicole (si tratta di una modifica della previgente normativa ed è valevole per il solo anno 2020).

Reazioni particolarmente interessate sono state riscontrate dagli operatori economici, anche per la facilità di utilizzo, del Credito d’imposta per botteghe e negozi di cui al punto 2 sopra riportato e previsto dall’articolo 65 del Decreto Legge 17 marzo 2020 n.18.


Credito di imposta per botteghe e negozi – Profili interpretativi

La norma in commento prevede il riconoscimento di un parziale ristoro dei costi sostenuti per la locazione dell’immobile adibito all’attività a favore degli esercenti attività di vendita al dettaglio. Gli esercenti attività di impresa, quindi, si vedono riconosciuto per l’anno 2020 un credito d’imposta nella misura del 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020 riservato ai conduttori di immobili rientranti nella categoria catastale C/1.

La Circolare n. 8/E del 3 aprile 2020 ha precisato che il credito matura a seguito dell’avvenuto pagamento del canone medesimo, ancorché come esporremo in seguito, gli emendamenti allo studio della 5a commissione permanente (Bilancio), vadano in direzione opposta. La disposizione non si applica alle attività che sono state definite come essenziali, tra cui farmacie, parafarmacie, edicole e punti vendita di generi alimentari di prima necessità.

La misura è utilizzabile, esclusivamente, in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997, utilizzando il modello F24, con codice tributo 6914, denominato “Credito d’imposta canoni di locazione botteghe e negozi – art.65 del DL 17 marzo 2020, n.18” e istituito dalla risoluzione dell’Agenzia delle entrate del 20 marzo 2020, n. 13.

In merito all’ambito applicativo, il MEF ha inoltre chiarito che la misura in esame si applica ai contratti di locazione di negozi e botteghe, rimanendo esclusi i contratti aventi ad oggetto anche altri beni e servizi, quali i contratti di affitto di ramo d’azienda o altre forme contrattuali che regolino i rapporti tra locatario e proprietario per gli immobili ad uso commerciale.

La norma ha da subito suscitato un ampio dibattito dovuto alle diverse limitazioni in essa presenti. Si tratta, in particolare, della limitazione alla categoria catastale C/1 (botteghe e negozi) indipendentemente dalla tipologia di attività in essa svolta ed indipendentemente dalla superficie commerciale. La limitazione ad una sola categoria catastale rischia di vanificare l’effetto agevolativo tagliando fuori soggetti che sono stati ugualmente colpiti dal lockdown come:

  • uffici privati rientranti nella categoria A/10 (ancorché le attività professionali non risultino obbligatoriamente chiuse);
  • laboratori per arti e mestieri (C/3);
  • magazzini (C/2) ed i fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni (D/8).

Tali ultime unità catastali potrebbero essere destinate anch’esse (come i C/1) all’esercizio di attività di vendita al dettaglio (chiuse per decreto), ma i relativi conduttori, allo stato della norma, sono tenuti al pagamento del costo per la locazione senza diritto ad alcuna agevolazione.

La sola possibilità riservata a tali conduttori, quindi, sarà chiedere ai propri locatori di dilazionare e/o sospendere il canone di locazione, contrattualmente previsto, relativamente al periodo di lockdown (richiesta che certamente è stata effettuata dalla maggioranza dei conduttori di immobili commerciali in Italia), invocando l’articolo 91 del “Decreto Cura Italia” rubricato “Disposizioni in materia ritardi o inadempimenti contrattuali derivanti dall'attuazione delle misure di contenimento e di anticipazione del prezzo in materia di contratti pubblici”.

L’impossibilità temporanea della prestazione (tutt’altro che scontata ma da valutare da parte del Giudice caso per caso) dovrebbe esonerare il conduttore dalla responsabilità per il tardivo pagamento del canone di locazione. L’impossibilità della prestazione che dovrebbe liberare il conduttore dal pagamento del canone sarebbe tuttavia difficilmente perseguibile in quanto non colpirebbe la sfera del locatore che sta rendendo regolarmente la sua prestazione (la disponibilità dell’immobile). Si veda, su tali aspetti, il contributo dell’Avv. Carlo Saronni.

In tale contesto, si ritiene più che auspicabile che il Parlamento, nell’ambito dell’iter di conversione del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, valuti attentamente i molti emendamenti proposti sull’art. 65 e tutti accomunati da un intento espansivo dell’agevolazione.

In particolare alcuni emendamenti ad oggi presentati prevedono:

  • di sostituire integralmente il comma 1 e prevedere per i conduttori l’esonero totale dal pagamento dell’affitto e per i locatori un credito di imposta pari al 60 per cento del canone non riscosso;
  • di estendere tale misura anche agli affitti di azienda o di rami di azienda;
  • di far rientrare anche le categorie catastali C/2, C/3, D/1, D/2, D/3, D/6 e D/8 con l’ulteriore estensione anche ai professionisti e lavoratori autonomi titolari di immobili rientranti nella categoria catastale A/10.


Attendiamo dunque la conversione in legge del Decreto nella speranza che possano essere colmate le disparità sopra evidenziate nella consapevolezza comunque della difficoltà di razionalizzazione delle risorse pubbliche disponibili.

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Federico Feroci Contatta Federico