Corriere della Sera

Controstoria MPS “il buco non c’era”

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A Milano è partito il processo di Appello sui “derivati” Santorini e Alexandria. Inedite carte emerse dagli archivi di Deutsche Bank accendono una luce diversa sull’operazione. Sarà una sentenza con effetti sul salvataggio in corso della banca senese, che potrebbe riscrivere anche il ruolo giocato negli anni dall’istituto tedesco.
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Parte con un colpo di scena il processo di Appello su Mps iniziato a Milano il 2 dicembre. I sei imputati ex banker di Deutsche Bank – condannati in primo grado insieme con gli ex vertici di Mps Giuseppe Mussari e Antonio Vigni e alcuni banker di Nomura, l’altra grande banca internazionale coinvolta nell’inchiesta sui prodotti “Alexandria” e “Santorini” – sono riusciti a farsi consegnare dal colosso di Francoforte migliaia di documenti nuovi. Sono mail e comunicazioni interne ed esterne che da anni giacevano nell’immenso archivio elettronico dell’istituto tedesco.

Le difese dei sei imputati sostengono che quelle carte, di cui hanno chiesto l’ammissione, possono riscrivere la storia del cosiddetto “derivato” Santorini, che tanti problemi ha causato all’istituto senese.

Dalle nuove carte emergerebbe la prova che in realtà “Santorini” non era un derivato ma un prestito vero e proprio garantito da titoli di Stato, nell’ambito di un’operazione strutturata legati ai tassi; che i nuovi vertici senesi Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, arrivati nel 2012, non avrebbero dovuto correggere il bilancio Mps a febbraio 2013 facendo emergere centinaia di milioni di perdite; che addirittura Mps non avrebbe subito perdite da Santorini.

È archeologia bancario-giudiziaria? Non proprio. Se questa ricostruzione trovasse accoglienza in Appello, verrebbero riscritte la storia recente del Montepaschi, con effetti anche sull’attuale Mps controllato dal Tesoro, che si ritrova con 2 miliardi di euro di richieste di risarcimento da parte di ex azionisti.


Gli effetti di oggi

Se la tesi delle difese venisse accolta, parte delle richieste di risarcimento perderebbero forza e Mps potrebbe liberarsi di quella nuova zavorra legale che – insieme con altri aspetti – ha impedito il passaggio a Unicredit. Ma c’è anche un fronte tedesco, altrettanto dirompente (almeno in potenza): le nuove carte emerse dagli archivi potrebbero riscrivere anche la storia recente di Deutsche Bank.

I sei ex top banker del gruppo tedesco – Ivor Scott Dunbar, Michele Faissola, Michele Foresti, Dario Schiraldi, Matteo Angelo Vaghi e Marco Veroni, difesi da un team legale ampio e con un avvocato comune a tutti, Giuseppe Iannaccone – puntano il dito contro la loro stessa ex banca, che avrebbe effettuato a fine 2013 una riscrittura dell’operazione “Santorini” al fine di poter sistemare la propria politica di bilancio su decine di prodotti simili piazzati in giro per il mondo a partire dal 2007-2008, in Italia anche a Unicredit e Banco Popolare.

Se non avesse corretto il bilancio sulla base di un presupposto però “errato”, sostengono i banker, DB avrebbe dovuto registrare pesanti effetti negativi sul bilancio, già indebolito patrimonialmente.


Non è un derivato

Le carte nuove sono frutto di una ricerca avvenuta a partire da giugno 2021 attraverso un sistema informatico di scandaglio degli archivi di DB. A stimolare la ricerca sono state le evidenze delle consulenze di Grant Thornton (Enrico Cimpanelli) e del professor Filippo Annunziata (docente di diritto degli Intermediari finanziari alla Bocconi), che hanno dato volto a un’autentica controstoria di Mps.

Che cos’era Santorini? Era un’operazione finanziaria (“long-term repo”) costruita su 4 miliardi di Btp a lunga scadenza garantita dagli stessi titoli, che Mps aveva costruito con Deutsche Bank nel 2008, ristrutturato nel 2009 e poi chiuso con una transazione a fine 2013. Secondo la Procura di Milano, e alcuni soci come il finanziere Giuseppe Bivona di Bluebell Capital, si trattava pacificamente di un derivato.

La posizione del consulente Grant Thornton è invece opposta: Santorini non può essere considerata un derivato perché non aveva la sostanza economica e finanziaria di un cds (credit default swap) né gli stessi rischi e flussi di cassa. Inoltre, secondo i calcoli di un altro consulente delle difese, il professor Davide Maspero (docente di finanza alla Bocconi), Santorini è stata per Mps un ottimo affare. Considerando i flussi finanziari di cassa, Siena ha “effettivamente” ottenuto un beneficio finanziario di 549 milioni. Se fosse arrivata alla scadenza del 2020, il beneficio sarebbe stato di quasi un miliardo.

Ma perché Mps corresse il bilancio nel febbraio 2013? Annunziata contesta la lettura che Santorini fosse servito a occultare perdite di Mps e che la scoperta abbia fatto aumentare di 500 milioni la richiesta di aiuti di Stato (i “Monti bond”). Il consulente si chiede: da dove deriva il buco patrimoniale miliardario di Mps? Dall’esercizio Eba del 2011, che chiedeva misure straordinarie e temporanee sul patrimonio per puntellare le minusvalenze sui titoli di Stato in una fase di grave crisi del debito sovrano, con lo spread schizzato alle stelle.

Per Annunziata però i Btp di Santorini e le coperture sui tassi erano già comprese nei calcoli dell’Eba, indipendentemente dalla loro contabilizzazione, quindi non c’era alcun “buco”. Inoltre Mps – è la tesi dei periti – avrebbe commesso un errore circa il momento in cui ha calcolato la “scommessa” sui tassi, per cui il “fair value” negativo di 429 milioni non era da registrare in una fase in cui la scommessa era ancora in corso.

E in ogni caso quel fair value negativo sarebbe stato recuperato nel tempo, come – ricordano i legali – lo stesso profumo ebbe a spiegare in tv in occasione del restatement. È stata insomma per Mps una scelta di rappresentazione contabile, in un momento in cui, ricorda Annunziata, Mps cominciava a essere appesantita dai crediti deteriorati con 907 milioni di rettifiche.

Pochi mesi dopo, anche Deutsche Bank arriverà a effettuare a fine 2013 un restatement di questi “repo to maturity” (come Santorini) abbandonando la contabilizzazione “a saldi aperti” del solo valore netto e considerandoli invece come derivati. La banca spiegò che la ragione fu la scoperta che i manager avevano venduto a Mps i Btp attraverso un intermediario, cioè con il cosiddetto “bond sourcing”.

Dalle nuove carte però emergerebbe che si trattava di una pratica adottata per diversi contratti di questo tipo, non solo per Mps. Secondo Grant Thornton, DB commise “errori tecnici” nel riscrivere in bilancio questi contratti. Le “vere motivazioni” del restatement, secondo Grant Thornton, sarebbero state legate al cambio dei principi contabili in arrivo il 1 gennaio 2014: secondo le nuove regole, i “repo” avrebbero dovuto essere iscritti “a saldi aperti” senza compensare attività e passività fra di loro.

Ma questo “avrebbe avuto effetti molto rilevanti” sul bilancio da Deutsche Bank. Da qui, secondo Grant Thornton, la scelta di passare alla contabilizzazione di 37 transazioni “a saldi chiusi” come derivanti “usando volontariamente il pretesto del bound sourcing (tecnicamente errato) della sola operazione” con Mps. In questo modo DB avrebbe risparmiato fra 330 e 1300 milioni di patrimonio regolamentare. Il restatement finirà poi alla Bafin e da lì in Consob. Ora i dei ex banker provano a rimettere tutto in discussione, a quasi otto anni dallo “scandalo dei derivati” di Montepaschi.