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il parere dell'esperto

L'implementazione dello smart working allargato

Simonetta La Grutta Simonetta La Grutta

Le diverse tipologie di smart working

In un recente webinar di AICA (Associazione Italiana per l’Informatica e il Calcolo Automatico), Enzo Rullani ha teorizzato tre tipologie di smart working che sono state riprese anche da Harvard Business Review Italia3.

Secondo Rullani, è possibile distinguere tra:

  • smart working esecutivo: si sostanzia in un’attività lavorativa standard gestionale a distanza, non occasionale, strutturata, svolta con limitata autonomia e partecipazione in modo continuativo. E’ possibile ritenere che tali attività standard in futuro potranno essere svolte da macchine o algoritmi, senza apporto o con limitato apporto umano;
  • smart working adattivo: si concretizza in un’attività lavorativa a distanza con relativa autonomia per interventi spesso on demand ed in forma anche personalizzata, senza specifici vincoli di spazio e tempo, con possibilità di partecipazione agli obiettivi e con un apprendimento continuo on the job (ne possono essere esempio alcune attività gestionali, commerciali o di assistenza e/o consulenza in campo tecnico o finanziario);
  • smart working creativo: implica forme di lavoro dotate di autonomia e partecipazione personale in grado di affrontare condizioni di complessità e di innovazione continua, con risultati misurabili, ad esempio, in termini di progetto e con un apprendimento permanente anche in termini di impegno personale. Sono tipici di questa forma di lavoro le attività di ricerca e di progetto, lo sviluppo software, il marketing creativo.

Si tratta di forme distinte che, come emerge dalla stessa descrizione, rispondono ad esigenze eterogenee e per le quali si prevede una altrettanto diversa evoluzione nel tempo. La direzione e il verso delle forze di innovazione che sottendono lo sviluppo delle tre modalità operative teorizzate appaiono, tuttavia, comuni: si tratta di una progressiva, ma costante, trasformazione del telelavoro in smart working.


Il nomadismo digitale

Negli ultimi anni, ed in particolare negli ultimi mesi, si è potuto sperimentare in maniera inequivocabile che il digitale e l’utilizzo via via più consapevole, programmato e organizzato dello stesso in ambito lavorativo abbiano modificato il concetto ed il valore di prossimità.

Essere vicini ai propri clienti, relazionarsi con i propri fornitori, organizzare le attività del proprio team, interagire all’interno di un gruppo di lavoro non richiede più esclusivamente la presenza fisica e questo senza che l’efficienza o l’efficacia operativa ne abbiano particolare detrimento.

L’utilizzo delle nuove tecnologie consente una ulteriore ottimizzazione del tempo, l’unico fattore produttivo che resta per molti versi rigido, inestensibile e ancor meno moltiplicabile. E’ esperienza comune che, senza che l’attenzione sia particolarmente distolta, si possano inviare brevi messaggi di risposta via chat mentre si sta partecipando ad una video call.

Ciò aumenta la prossimità e, dunque, in termini più ampi, favorisce un più rapido compimento delle attività lavorative proprie e di coloro con i quali si interagisce, come pure il raggiungimento degli obiettivi lavorativi. E’ questa una delle basi su cui si fonda l’evoluzione del telelavoro in smart working: il comprendere che il ricorso alle risorse tecnologiche non genera per sé una diminutio delle relazioni interpersonali ma che, viceversa, può consentire maggiore tempestività, migliore efficienza, più puntuale efficacia.

In un processo evolutivo voluto (e non subìto a seguito dalle gravi contingenze ambientali che si sono verificate), “sarà allora necessario condurre una vera e propria anatomia dei processi e comportamenti aziendali per riprogettarli con la lente digitale, riaccorpando in modo innovativo la dimensione in presenza con quella digitale”4.


Il processo di implementazione

Come appena ricordato, l’implementazione in maniera consapevole e strutturale di una delle possibili forme di smart working parte dalla ricognizione del modello organizzativo aziendale, delle interconnessioni tra le funzioni interne ed esterne, dalla tracciatura delle relazioni tra le posizioni occupate dai lavoratori.

Terminata la mappatura, sono fasi estremamente delicate, tra le altre, la definizione degli obiettivi che non potranno non trarre origine anche dai valori etici condivisi all’interno dell’organizzazione, l’individuazione dei gap strutturali (principalmente digitali, anche in tema di salvaguardia di adeguati livelli di privacy) e delle azioni necessarie per ridurli, la determinazione del raggio di azione dell’intervento (che, in una fase iniziale potrebbe non riguardare l’intera forza lavoro).

Non è secondario, tuttavia, comprendere l’importanza che una adeguata formazione ricopre per la corretta implementazione del processo di cambiamento in parola. La condivisione degli obiettivi, in via primaria, e lo sviluppo della consapevolezza dei lavoratori, in via immediatamente susseguente, sono elementi cardine del processo d’implementazione. Come avviene di consueto in occasione di mutamenti organizzativi, l’implementazione del cambiamento culturale è la fase più delicata e quella che, il più delle volte, genera il successo o il fallimento dell’iniziativa.

E’ necessario apprendere una nuova modalità operativa, perché gli attori ne comprendano le potenzialità e i limiti, ne sappiano riconoscere e gestire le criticità, siano in grado di massimizzarne le potenzialità.


Diversity & Inclusion

Non può tacersi la rilevanza di un processo di modernizzazione volto all’introduzione della cultura dello smart working ai fini delle politiche di Diversity & Inclusion. L’utilizzo di piattaforme di comunicazione e collaborazione unificata annulla quasi del tutto la distanza, massimizza la prossimità e porta (finalmente) a far venire meno quella che generalmente è percepita come “assenza dal luogo di lavoro”, e che invece effettivamente consiste nella mera adozione di orari flessibili i quali consentano un’adeguata cogestione di tematiche lavorative e familiari.

Una politica di modernizzazione in tal senso potrebbe costituire quella chiave di volta a lungo cercata in grado di permettere una paritaria, serena, effettiva coesistenza di due interessi da sempre visti in contrapposizione: la realizzazione dei desiderata (e la gestione delle emergenze) in ambito familiare ed il raggiungimento dei propri obiettivi lavorativi per l’intera durata della vita attiva.

E’ estremamente chiaro, ancor più alle nuove generazioni, che in realtà non si tratti di interessi contrapposti e divergenti, ma convergenti verso una più equilibrata e completa realizzazione dell’essere umano.


Conclusioni

L’emergenza epidemiologica che si sta affrontando ha permesso di conoscere e apprezzare le potenzialità delle nuove tecnologie in generale e delle piattaforme di condivisione e collaborazione in particolare, acquisendo consapevolezza dell’impatto che possono determinare nei confronti di modalità lavorative troppo legate a vincoli spazio temporali che, con ogni probabilità, hanno ormai fatto il loro tempo.

Si constata ricorrentemente come un adeguato work/life balance sia, specialmente per coloro che adesso si trovano nel primo quinquennio di esperienza lavorativa, il primo driver per la scelta dell’organizzazione di cui fare parte. E’ dunque adesso necessario muovere verso nuovi modelli organizzativi i quali, al di là della definizione che deriva dal contesto giuslavoristico, porti ad una implementazione trasversale dello smart working, nell’accezione fin qui delineata.

Centrale, in questo come in altri processi evolutivi dell’organizzazione, è il ruolo della formazione, volta a produrre il necessario cambiamento culturale.

Come noto nei contesti educativi, l’apprendimento è un mezzo importante di integrazione sociale e nazionale, pilastro fondante per la costruzione del senso di comunità. Esso dunque è volto non solo a potenziare il singolo, ma ad aiutare i singoli individui a costruire un futuro comune, una storia condivisa.