Parere dell'esperto

Transazione fiscale e potenziale inespresso tra limiti e applicazione

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Poter invitare al “tavolo delle trattative” l’Erario e gli Enti previdenziali ed assistenziali costituisce, senza dubbio, un notevole vantaggio per l’imprenditore e l’impresa in crisi.

Come già detto, è molto frequente che, a ricorrere a procedure concorsuali per la risoluzione della crisi, siano proprio soggetti fortemente – se non esclusivamente – indebitati nei confronti dell’Erario e degli Enti.

Se da un lato, dunque, il legislatore ha voluto agevolare quanto più possibile l’imprenditore in crisi anche nell’ottica della salvaguardia della continuità aziendale, da qualche anno ormai gli operatori del settore si interrogano sul perché tale istituto sia rimasto una prerogativa delle procedure giudiziali, concordato preventivo e accordo di ristrutturazione dei debiti, lasciando dunque escluso il piano di risanamento attestato e la novella composizione negoziata della crisi (CNC).

L’aver precluso l’adozione dell’istituto della transazione fiscale nell’ambito degli strumenti stragiudiziali ha certamente depotenziato la portata degli stessi, finendo poi per limitarne largamente la scelta e l’utilizzo.

Entrambi i citati strumenti stragiudiziali si basano sul raggiungimento di accordi con i creditori senza l’intervento dell’autorità giudiziaria ma, come per l’ottenimento delle misure protettive nell’ambito della CNC, è necessario presentare un apposito ricorso in Tribunale, allo stesso modo poteva esser prevista una specifica omologazione tribunalizia dell’accordo di transazione fiscale, per entrambi gli istituti.

L’assenza di tale previsione risulta ancora più evidente nel piano di risanamento attestato poiché, mentre nella CNC l’unico trattamento che è possibile proporre agli Enti consiste in una straordinaria dilazione sino a 10 anni del debito, in questo caso non è possibile formulare alcuna proposta dovendo dunque provvedere necessariamente al pagamento integrale e nelle tempistiche ordinarie.

Anche nelle procedure giudiziali, per le quali è prevista l’adozione della transazione fiscale non mancano limitazioni al suo utilizzo.

Basti pensare che nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti si sta affermando la tesi circa l’impossibilità di stipulare un accordo con il “monocreditore” soprattutto se quest’ultimo è proprio il fisco. Al termine del dibattito degli ultimi anni, in cui sia dottrina che giurisprudenza avevano assunto posizioni contrarie sulla possibilità o meno di omologare l’accordo con il “monocreditore”, le ultime e recenti pronunce della Corte d’App. di Firenze 370/20022 e della Corte d’App. di Milano 1125/2022, ne hanno chiarito l’inammissibilità.

Se da un lato è comprensibile e condivisibile la ratio delle pronunce volte ad impedire che il Fisco sia l’unico creditore a “pagare il prezzo” della ristrutturazione, dall’altro la limitazione si scontra con l’attuale situazione italiana, caratterizzata da società che necessitano, esclusivamente o quasi, di gestire l’insostenibile indebitamento con l’Erario e gli Enti previdenziali.

Nell’attuale formulazione, la proposta di transazione fiscale viene sottoposta agli Enti, almeno 90 giorni prima del deposito dell’istanza di omologazione, se si tratta di un accordo di ristrutturazione, o contestualmente al deposito del ricorso nel caso di concordato preventivo, che ne vaglieranno il contenuto per l’espressione del proprio parere.

Ciò che sarà oggetto di valutazione sarà la convenienza della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria.

Dalla lettura della norma e secondo anche quanto indicato nella Circolare dell’Agenzia delle Entrate 34E del 2020, la “convenienza” dovrebbe essere l’unica condizione oggetto di valutazione, non lasciando dunque spazio ad ulteriori elementi, quali la passata condotta del debitore e la “meritevolezza” di aiuto, la percentuale di soddisfacimento proposta e quello prevista per lo stralcio, ulteriori ipotesi, manovre o azioni che il debitore potrebbe porre in essere.

Nonostante ciò, è stato possibile riscontrare nella prassi come in realtà l’opinione – e dunque la conseguente accettazione o meno – degli Enti risulti invero fortemente influenzata da elementi quali la condotta assunta dal debitore negli anni precedenti la richiesta, l’origine del debito e le modalità della sua formazione e stratificazione nel tempo, il “sacrificio” richiesto agli Enti e quello proposto agli altri creditori, gli “sforzi” - anche in termini di nuova finanza - dell’imprenditore per la risoluzione della crisi, nonché il rapporto tra il credito originariamente vantato e quanto effettivamente offerto.

Senza poter generalizzare sul comportamento degli Enti nella valutazione delle proposte, ciò che è stato possibile riscontrare è che la “convenienza” economica delle proposte non pare essere l’unico elemento oggetto di considerazione e che dunque “offrire un euro in più” rispetto a quanto ricaverebbero dall’alternativa liquidazione giudiziale non sarà certamente sufficiente per ottenere l’adesione degli Enti al risanamento.

Sempre in merito alle metodologie di analisi delle proposte, un’ulteriore criticità si annida nel fattore territoriale, potendo infatti riscontrare interpretazioni e orientamenti differenti da parte degli Enti e dei Tribunali, in caso di esercizio della richiesta di omologazione forzosa. Per cui, da parte degli operatori professionali, si rende necessaria una preventiva analisi anche di questo aspetto, in considerazione di ogni specifico caso.

Volendo tuttavia vedere “il bicchiere mezzo pieno”, si riscontra una generale e maggiore attenzione in quei casi in cui a ricorrere all’istituto della transazione fiscale siano soggetti che impiegano un numero considerevole di dipendenti e dove l’espressione degli Enti al riguardo possa diventare, in caso di diniego, un default quasi certo.

Nonostante le “criticità” che ancora lo accompagnano, l’istituto della transazione fiscale è sicuramente uno strumento molto utile, da “maneggiare con cura” e l’apporto di nuove risorse finanziarie esterne è certamente ciò che fa pendere l’ago della bilancia verso l’accoglimento della proposta da parte degli Enti. L’elemento finanziario è quello che in modo netto determina la convenienza citata dalla norma senza “se” e sema “ma”, non lasciando spazio a possibili interpretazioni, come spesso accade, in merito ad esempio a fattori valutativi della liquidazione da porre a confronto della proposta o ancora di più in merito a pretestuose motivazioni di scarsa chiarezza della proposta stessa.