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La transazione fiscale: dall’origine alle ragioni della risonanza mediatica

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La transazione fiscale rappresenta una particolare procedura “transattiva” tra Fisco e contribuente, instaurabile soltanto nell’ambito delle procedure concorsuali di concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti, che consente il pagamento in misura ridotta e/o dilazionata del credito tributario, sia privilegiato che chirografario.

L’istituto della transazione fiscale, introdotto mutuando la propria natura dalla transazione codicistica di cui all’art. 1965 c.c., ha rappresentato una novità nell’ordinamento tributario poiché, superando il generale principio dell’indisponibilità del diritto tributario, ha concesso agli Enti la possibilità di accettare proposte di pagamento sia parziale, quindi rinunciando a parte del proprio credito, che dilazionato, secondo regole estranee ai canonici istituti deflattivi.

Comunemente conosciuta con il nome di “transazione fiscale”, si tratta in realtà di “transazione fiscale, previdenziale e contributiva” dal momento che è ammessa la transazione, non sono soltanto “dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali”, ma anche “dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza, assistenza e assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti obbligatorie e dei relativi accessori” cosicché, l’interlocutore con il quale si potrà trattare non sarà soltanto l’Erario, ma anche l’INPS, l’INAIL e tutti gli altri enti previdenziali e assistenziali privati impositori di contribuzione obbligatoria.

Richiamando quanto sancito dalla Legge Fallimentare del ’42, prima, e dal Codice della Crisi e dell’Insolvenza del 2019 dopo, è possibile proporre soluzioni transattive all’Erario e agli Enti previdenziali e assistenziali, purché ricorrano due condizioni: i) la convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria (alias fallimento); ii) il divieto di trattamento deteriore.

In sostanza, gli Enti potranno accettare proposte o stipulare accordi con i contribuenti in difficoltà se, quanto loro proposto, risulti “conveniente”, sia in termini quantitativi che relativamente alle tempistiche di pagamento, rispetto a quanto ricaverebbero nell’ipotesi di apertura della liquidazione giudiziale della società e se, la soddisfazione loro proposta non risulti “deteriore”, ovvero inferiore rispetto a quanto proposto a creditori dello stesso rango o di rango inferiore.

Questo istituto, introdotto nei primi anni 2000, nel corso del ventennio ha subito rilevanti modifiche.

Nella sua prima formulazione, quale “transazione dei ruoli” era applicabile solo agli importi iscritti a ruolo di contribuenti risultati insolventi in procedure di esecuzione coattiva, con l’intento di meglio preservare il credito erariale; successivamente, con il nuovo obiettivo della tutela dei creditori e della continuità aziendale, la platea dei debitori è stata ampliata con l’introduzione nel 2005 della “transazione fiscale” e dell’articolo 182 ter L.Fall.; negli anni successivi i destinatari sono stati ulteriormente aumentati, includendo dal 2011 anche gli imprenditori agricoli ed il raggio d’azione dell’istituto esteso, prevedendo soltanto dal 2016, anche la falcidia dell’IVA e delle ritenute operate e non versate.

Tra le più rilevanti novità è da ricordare certamente quella apportata con l’articolo 3, comma 1 bis, del D.L. n. 125 del 2020, il quale ha introdotto il cd. “Cram down fiscale”, ovvero il potere del Tribunale di ovviare alla “mancanza di adesione” degli Enti alle proposte dei contribuenti con l’omologazione “forzosa”, qualora: i) la proposta formulata risulti “conveniente” rispetto all’alternativa liquidatoria; ii) il voto risulti “determinante” per il raggiungimento delle maggioranze di legge.

Con quest’ulteriore previsione, volta a sopperire alle inefficienze degli Enti, i quali spesso tardavano eccessivamente a rispondere per rigidità burocratiche interne o ancora non rispondevano per non incorrere in responsabilità personali dei funzionari preposti, l’istituto della transazione fiscale, e dunque le due procedure nelle quali si incardina – concordato preventivo e accordo di ristrutturazione – ha registrato un largo successo ed un rilevante utilizzo nel panorama delle società italiane.

Infatti, negli ultimi anni, il numero di società italiane, soprattutto PMI, con una struttura debitoria totalmente, o quasi, costituita da debiti erariali e previdenziali è cresciuto notevolmente, giungendo poi a costituire la maggior parte dei richiedenti l’accesso alle procedure concorsuali.

Sul perché il debito tributario e previdenziale costituisca una percentuale preponderante dell’indebitamento complessivo delle società italiane, potrebbe dirsi molto. Se da un lato, tra i possibili creditori di una società, l’Erario e gli Enti previdenziali erano spesso quelli capaci di agire con minore tempestività ed intensità nei confronti dei debitori, attendendo anche anni prima dell’avvio di azioni esecutive capaci di ostacolare lo svolgimento dell’attività aziendale, dall’altro anche i diversi strumenti messi a disposizione dal Fisco negli anni, hanno concesso ai contribuenti di “rimandare” l’assolvimento delle proprie obbligazioni ad un costo talvolta irrisorio – basti pensare alle rateizzazioni, al ravvedimento operoso, alle rottamazioni e ai numerosi istituti deflattivi del contenzioso – per spesso giungere ad un accumulo di debiti tale da non essere poi più sostenibile.

Al largo, talvolta eccessivo, ricorso all’istituto, il legislatore ha però posto un freno, nell’agosto 2023, prevedendo per i soli accordi di ristrutturazione, che il cram down fiscale possa essere richiesto soltanto per piani non liquidatori e con la previsione di soddisfacimento minimo del 30% o 40% dei crediti tributari e previdenziali.  

Quest’ultima modifica normativa è oggetto dell’Approfondimento di questo TopHic.