Alert IVA
Operazioni intracomunitarie e prezzo di trasferimento
05 ago 2025
Causa C-726/23, caso Arcomet Romania, Conclusioni dell’Avvocato Generale presentate il 3 aprile 2025
A cura di Mario Spera - Pricipal Bernoni Grant Thornton
1. Premessa
La questione analizzata dall’Avvocato generale nell’ambito della causa C-726/23 si incentra principalmente sul trattamento da attribuire ai servizi infragruppo che sono forniti dalla Casa madre nei confronti di una società figlia stabilita in altro Stato membro. In particolare, alla luce anche delle raccomandazioni formulate dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) bisogna concentrarsi su quale debba essere il trattamento fiscale delle prestazioni infragruppo rese, in quanto queste, poiché deriverebbero, in ogni caso, dal sistema dei prezzi di trasferimento per le imprese multinazionali, sembrerebbero dover essere assoggettate all’imposta sul valore aggiunto, dovendole considerare come autonome prestazioni di servizio.
Il tema sottoposto alla Corte di Giustizia UE (CGUE) nasce in relazione ad una controversia sorta in Romania, ove opera la Arcomet Romania, che fa parte del gruppo mondiale Arcomet che svolge la sua attività nel settore del noleggio di gru. Nel caso di specie la capogruppo Arcomet Belgio (Arcomet Service NV belga) cerca fornitori per le proprie società figlie (tra cui la società romena), negoziando i termini contrattuali. Tuttavia, i contratti di vendita e di noleggio sono conclusi direttamente tra le società figlie ed i propri fornitori e clienti, come accade appunto in relazione alla Arcomet Romania.
Le considerazioni svolte dall’Avvocato Generale (Jean Richard De La Tour) si presentano di particolare interesse in quanto individuano uno spaccato particolare sulla modalità di tassazione o meno, ai fini IVA, dei prezzi di trasferimento. fermo restando che occorrerà conoscere la definitiva decisione della Corte in materia per enucleare i relativi principi sostanziali.
2. Le questioni sottoposte alla CGUE
Allo scopo di dirimere la questione, il gruppo Arcomet dall’analisi anche delle linee guida OCSE in materia è pervenuto alla conclusione “che, a livello di mercato, le società figlie dovrebbero registrare, in conformità alle norme sui prezzi di trasferimento, un margine di utile operativo” tra lo 0,71% e il 2,74%. In ragione di ciò, per quanto qui di interesse, Arcomet Belgio e Arcomet Romania hanno stipulato un contratto per garantire alla società romena un margine di utile operativo compreso nel suddetto intervallo. Per contro per evitare che siano superati i suddetti limiti in caso di utile maggiore del 2,74% o di perdite che portino l’utile al di sotto dello 0,71%, è stato previsto che la casa madre belga intervenga annualmente attraverso l’emissione di “una fattura di perequazione”.
Poiché per 3 anni consecutivi (2011-2013) la Arcomet Romania ha registrato un’eccedenza di utile rispetto al limite previsto, la Arcomet Belgio ha emesso 3 fatture “senza IVA” considerandole relative a prestazioni di servizi “intracomunitarie”. Dal canto suo la Arcomet Romania ha assoggettato ad imposta secondo il meccanismo del reverse charge le prime due fatture, appunto come acquisti intracomunitari di servizi, mentre ha ritenuto la terza fattura relativa ad “operazioni che non rientravano nell’ambito di applicazione dell’IVA”.
In questa situazione, l’Autorità fiscale rumena ha negato il diritto a detrazione per tali fatture sostenendo che la società accertata non aveva presentato idonei documenti giustificativi concernenti “la prestazione dei servizi fatturati né la loro necessità ai fini delle operazioni imponibili”.
A seguito del contenzioso instauratosi la Corte d’appello di Bucarest ha sospeso il procedimento, ponendo alla CGUE due questioni pregiudiziali.
La prima riguarda la possibilità che gli importi fatturati dalla società madre ad una propria associata possano realmente costituire il corrispettivo di un servizio, qualora l’importo fatturato, necessario ad allineare l’utile della società operativa alle attività svolte, sia calcolato prendendo a base “il metodo del margine delle linee guida OCSE”.
La seconda questione è diretta a conoscere se l’Autorità fiscale possa chiedere che oltre alla fattura siano presentati altri documenti, quali relazioni di attività, stati di avanzamento lavori, ecc., diretti a giustificare l’utilizzo dei servizi acquistati ai fini delle operazioni imponibili ovvero se il diritto a detrazione debba basarsi sul “solo legame diretto fra acquisto e cessioni/prestazioni o [fra acquisto e] l’intera attività economica del soggetto passivo”.
3. Parere degli Organismi comunitari
La questione non del tutto semplice da risolvere è stata, in passato, esaminata dal Comitato IVA (cfr. Working paper 923, presentato nella riunione n. 108 del 27 e 28 marzo 2017) e successivamente ripresa attraverso l’analisi formulata dal VEG -Vat Expert Group-, riportata nel paper n. 071 (Cfr riunione n. 110 del 13 aprile 2018 e WP 945 del Comitato IVA e relativi allegati).
In questo ambito gli organismi comunitari, pur sollevando il problema della possibile rilevanza ai fini IVA del TP adjustment, non sono pervenuti a definitive soluzioni, per cui la tematica non ha formato oggetto di specifiche linee guida, essendo stato rilevato che la complessità della materia non consentiva di pervenire a conclusioni definitive e certe, dovendosi, invece, occupare del trattamento della materia caso per caso.
Tanto premesso, appaiono rilevanti le conclusioni cui perviene la Commissione UE nel WP 923 (cfr punto 3.4), ove afferma che “(e)siste una tensione tra le norme sui prezzi di trasferimento stabilite ai fini dell'imposizione diretta, che, basandosi sul principio di libera concorrenza, mirano a pervenire alla valutazione di libera concorrenza di una transazione (ovvero il valore di mercato libero), e le norme IVA, generalmente basate sull'esistenza di una fornitura a titolo oneroso, dove il corrispettivo è considerato un valore soggettivo (ovvero il prezzo effettivamente pagato)”. Questa situazione particolare comporta che “l'interazione tra prezzi di trasferimento e IVA, le rettifiche dei prezzi di trasferimento (in aumento o in diminuzione) potrebbero avere implicazioni IVA, ad esempio, laddove tale rettifica potrebbe essere considerata come un corrispettivo maggiore o minore dato in cambio di una fornitura imponibile di beni o servizi già effettuata (…)”.
Peraltro, come precisato al punto 35 delle Conclusioni dell’Avvocato Generale esistono diversi tipi di rettifiche dei prezzi di trasferimento che si fondano sui diversi metodi di calcolo, enucleati nelle linee guida dell’OCSE e che consistono in “tre metodi tradizionali basati sulle transazioni e due metodi transazionali basati sull’utile”.
Sono proprio queste circostanze a giustificare un’analisi caso per caso, come sopra detto, per cui dalle discussioni in seno al Comitato IVA, anche con l’apporto del VEG, è emerso, in linea di principio, che si possa procedere ad un assoggettamento ad IVA delle fatture di aggiustamento, sostanzialmente qualora possa riscontrarsi un nesso diretto tra l’operazione iniziale di cessione /prestazione ed i successivi interventi della casa madre per rendere coerenti gli utili (ovvero le perdite) rilevati in capo alle società figlie, secondo quanto definito sulla base del Transfer Pricing adjustment.
4. Analisi e conclusioni dell’Avvocato Generale
Per rispondere alle due questioni rinviate alla CGUE occorrerebbe rilevare che “il metodo di calcolo del prezzo di trasferimento sia utilizzato direttamente per calcolare, a posteriori, la remunerazione della prestazione di servizi infragruppo, senza ulteriori rettifiche” (Cfr. fine punto 36), con la conseguenza che non si può prescindere dall’analisi economica e commerciale delle singole situazioni (case by case). Il che significherebbe che bisogna poter rilevare se il sistema del TP dia effettivamente luogo ad una prestazione di servizi a titolo oneroso, da assoggettare ad IVA.
A questo riguardo, è necessario far riferimento alle pattuizioni contrattuali intercorse tra le parti, da cui deriverebbe che “ciascuna parte si impegna a effettuare un certo numero di prestazioni a favore dell’altra” con assunzione dei relativi rischi economici (Cfr. punto 40). Inoltre, non può trascurarsi la circostanza che risulta contrattualmente previsto “una remunerazione delle parti pari all’importo necessario per porre la Arcomet Romania in una situazione corrispondente alle attività da essa svolte e ai rischi da essa assunti”.
Tutto ciò porterebbe a rilevare l’esistenza di un “nesso diretto” tra servizio reso e corrispettivo ricevuto, che potrebbe anche prescindere dall’effettivo importo del corrispettivo. Tuttavia, pur in presenza di un importo indeterminato, non può trascurarsi il fatto che “le modalità di tale remunerazione sono stabilite nel contratto del 24 gennaio 2012 con criteri molto precisi e sono, in quanto tali, prive di incertezze”, vale a dire che il corrispettivo delle prestazioni rese dalla Arcomet Belgio a favore della Arcomet Romania “è perfettamente determinabile sin dalla conclusione di tale contratto”.
Su questo punto la conclusione dell’Avvocato Generale è nel senso che “la remunerazione per servizi infragruppo, forniti da una società madre, che assume a proprio carico le responsabilità commerciali, a una società figlia e contrattualmente precisati, che è calcolata secondo il metodo del margine netto della transazione raccomandato dalle linee guida dell’OCSE, deve essere considerata come il corrispettivo di una prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso, ai sensi di tale disposizione, e deve essere assoggettata all’IVA”.
Più semplice appare la seconda questione correlata con l’onere della prova per fruire del diritto a detrazione da parte di un soggetto IVA.
Per costante giurisprudenza della CGUE (tra cui sentenza del 12 dicembre 2024 C-527/23, caso Weatherford Atlas Gip) dall’analisi dell’art. 168 della direttiva 2006/112/CE deriva “che, per poter beneficiare del diritto a detrazione dell’IVA pagata a monte, occorre, da un lato, che l’interessato sia un «soggetto passivo» ai sensi di tale direttiva e, dall’altro, che i beni o i servizi invocati a fondamento del diritto a detrazione siano utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini di sue operazioni soggette ad imposta e che, a monte, tali beni siano ceduti o tali servizi siano resi da un altro soggetto passivo” (Cfr. punto 25 citata sentenza).
Oltre a questi elementi è anche necessario che sussista un nesso diretto e immediato tra l’operazione a monte e quelle a valle che consentono tale diritto. Peraltro, l’Avvocato generale, nelle sue conclusioni osserva che tale nesso potrebbe mancare qualora si tratti di spese generali del soggetto che richiede la detrazione, ma che in ogni caso diventino parte integranti del prezzo dei beni/servizi forniti dal soggetto interessato (Cfr. punto 55 delle Conclusioni in esame).
Considerato che tale elemento sembra sussistere nel caso della Arcomet romena, si pone il tema dell’onere della prova che incombe sul soggetto che richiede il diritto a detrazione e che deve pregiudicare il meno possibile detto diritto, in modo da non contrastare con il principio di proporzionalità, costantemente invocato dalla CGUE.
Sulla base di queste considerazioni l’Avvocato Generale perviene alla conclusione che nel caso di specie non si tratta di dimostrare esclusivamente l’esistenza di requisiti formali, quanto, piuttosto la sussistenza dei requisiti sostanziali per beneficiare del diritto.
Pertanto, l’Amministrazione fiscale può esigere che il soggetto passivo che richiede la detrazione debba presentare “documenti diversi dalla fattura per giustificare l’utilizzo dei servizi acquistati ai fini delle sue operazioni soggette ad imposta (…) nel rispetto del principio di proporzionalità”.
In ogni caso, fermo restando l’acutezza delle riflessioni formulate dall’Avvocato Generale, sarà necessario attendere le definitive decisioni della Corte di Giustizia UE in materia.