article banner
Overview

TCF come strumento di gestione del rischio fiscale

La definizione di rischio fiscale

Il rischio fiscale è definito come il rischio di operare in violazione di norme di natura tributaria ovvero in contrasto con i principi e con le finalità dell’ordinamento tributario. Si tratta, in particolare, di rischi legati alla indisponibilità totale o parziale di informazioni rilevanti, all’errata interpretazione di una norma o all’errata esecuzione di adempimenti.

Il rischio ha natura sia finanziaria, in termini di maggiori imposte, sanzioni e interessi sia non finanziaria, in particolare reputazionale.

La generalità dei contribuenti si dichiara attenta alle tematiche fiscali ma, approfondendo la questione, emergono importanti carenze: da un lato, si tende a limitare fortemente l’identificazione di flussi aziendali considerati rilevanti a fini fiscali; dall’altro, chi ha le informazioni non ha la sensibilità fiscale per elaborarle e i sistemi di controllo normalmente adottati non considerano il rischio fiscale.

In caso di verifica questo atteggiamento superficiale si traduce in maggiori imposte, sanzioni e interessi (per limitarci alla sola parte amministrativa), ovvero cassa che non può essere utilizzata per nuovi investimenti o per remunerare lavoro e capitale.

L’approccio del legislatore e delle amministrazioni finanziarie di diversi Stati sta cambiando, attribuendo sempre maggiore rilevanza all’interlocuzione proattiva tra contribuenti e amministrazioni finanziarie e fornendo strumenti adeguati allo scopo. I contribuenti che intendono adottare comportamenti virtuosi, non solo nel proprio core business, devono fare una riflessione attenta in merito a come gestiscono la variabile fiscale. L’adozione di un Tax Control Framework è, oggi, il comportamento da adottare.

E’ anche una risposta che dimostra, a tutti gli stakeholder dell’azienda, che il management ha adottato strumenti di gestione della variabile fiscale moderni e idonei allo scopo.

Un breve excursus

L’attenzione al rischio fiscale e alla sua gestione è relativamente recente: nella terza riunione del Forum on Tax Administration di Seul del 2006 le amministrazioni finanziarie partecipanti decidono di avviare, a livello globale, azioni coordinate di contrasto all’elusione e all’evasione fiscale e danno mandato all’OCSE di analizzare il problema e di proporre soluzioni.

Due anni dopo l’OCSE pubblica il documento “Study into the role of tax intermediaries” che analizza l’attività dei contribuenti e dei tax intermediaries, nella più ampia accezione del termine e delle amministrazioni finanziarie.

Il documento è fondamentale poiché getta le basi di tutte le azioni che verranno adottate negli anni successivi: da un lato lo stimolo ad un’interlocuzione spontanea e proattiva, con l’introduzione del Tax Control Framework e la cooperative compliance ed, entro certi limiti, con la voluntary disclosure; dall’altro, con la previsione di strumenti di contrasto più incisivi, ovvero lo scambio di informazioni e le azioni del progetto BEPS, per citare solo i documenti più significativi.

La maggior parte dei documenti citati sono stati recepiti nel nostro ordinamento: per quanto riguarda la cooperative compliance nel 2013 è stato lanciato il progetto pilota e, in adempimento alla delega fiscale, nel 2015, nel corpo del decreto legislativo cosiddetto della certezza del diritto, è stato introdotto nel nostro ordinamento il Tax Control Framework e il regime di adempimento collaborativo. La voluntary disclosure è diventata legge italiana nel 2014, parallelamente alla firma di numerosi accordi per lo scambio di informazioni con Stati da sempre considerati paradisi fiscali e strenui difensori del segreto bancario.

Alcune azioni del progetto BEPS sono diventate norme e prassi italiane, anche tramite recepimento di alcune direttive comunitarie (tra le altre, le azioni 5, 8-10, 12, 13 e 14); altre sono in attesa di finalizzazione, essenzialmente mediante il recepimento dello strumento multilaterale.

Gli strumenti di interlocuzione proattiva con le amministrazioni finanziarie

Concentrandoci sulla strategia di stimolo di un’interlocuzione proattiva finalizzata all’adempimento spontaneo, osserviamo che anche anteriormente al riconoscimento del Tax Control Framework e all’introduzione del regime di adempimento collaborativo esistevano, nel nostro ordinamento, strumenti di gestione del rischio fiscale, relativi a specifiche attività od operazioni: gli interpelli, generali, disapplicativi e anti elusivi, l’interpello sui nuovi investimenti, gli accordi preventivi, unilaterali, bilaterali e multilaterali, le procedure amichevoli.

Il regime di adempimento collaborativo ha portata più ampia, ovvero ha a oggetto la fiscalità, diretta e indiretta della società e, quindi, consente di coprire tutte le attività e le operazioni con un’ampiezza che gli altri strumenti non hanno.

Condizione necessaria ma non sufficiente per poter accedere al regime di adempimento collaborativo è che la società sia dotata di un Tax Control Framework.

Il Tax Control Framework è un sistema di controllo interno, finalizzato a garantire la corretta applicazione delle norme fiscali e la corretta gestione degli adempimenti fiscali.

La strategicità del Tax Control Framework

Di Tax Control Framework si è iniziato a parlare in Italia in occasione del progetto pilota del 2013 e del regime di adempimento collaborativo del 2015.

La generalità dei contribuenti tende a collegare inscindibilmente il Tax Control Framework con il regime di adempimento collaborativo e, quindi, nella misura in cui non è possibile accedere al regime di adempimento collaborativo (le soglie di fatturato per poter accedere sono ancora oggi molto elevate, come vedremo dopo) non ritiene opportuno attivare il Tax Control Framework.

Riteniamo che questa valutazione sia sostanzialmente sbagliata e non responsabile.

L’efficace gestione del rischio fiscale è necessaria per evitare di esporre la società a rischi, finanziari e non, derivanti dall’errata applicazione di norme e dalla gestione di adempimenti fiscali non corretti. Una gestione moderna e responsabile della variabile fiscale richiede che il top management della società sia in grado di garantire che i rischi fiscali a cui è esposta siano identificati, valutati, gestiti e monitorati e che, quindi, la società sia marginalmente esposta.

In altre parole, l’adozione di un Tax Control Framework dovrebbe essere vista come una scelta strategica di gestione responsabile del rischio, che giustifica autonomamente l’investimento che essa richiede. L’adesione al regime di adempimento collaborativo è un passo ulteriore e successivo, molto importante, ma non è necessario.

Ci sono molti contribuenti che non hanno un ufficio fiscale che sia in grado di presidiare tutte le attività e tutti gli adempimenti; in questa situazione, parte delle attività e parte degli adempimenti sono delegati a organizzazioni esterne. Il concreto rischio che il contribuente corre in questi casi è che le procedure aziendali, in area fiscale, siano parziali e che le organizzazioni esterne non abbiano contezza di tutto. La conseguenza è che il presidio interno e il presidio esterno non siano sufficienti a garantire una buona gestione del rischio fiscale e, quindi, espongano il contribuente a rischi fiscali importanti.

Le amministrazioni finanziarie hanno da tempo dichiarato di attribuire rilevanza al Tax Control Framework e di tener conto, nella valutazione del profilo di rischio del contribuente e nell’approccio alla verifica, dell’esistenza o meno di un Tax Control Framework strutturato in modo adeguato.

Per fare un paragone che non riteniamo sia azzardato, è la stessa valutazione che, mutatis mutandis, in ambito prezzi di trasferimento si fa relativamente alla predisposizione della documentazione ai sensi del provvedimento e alla presentazione di una istanza di accordo preventivo. La preparazione della documentazione sui prezzi di trasferimento è un adempimento facoltativo che consente di presentare il proprio gruppo, le proprie operazioni e le metodologie utilizzate per determinare il prezzo di libera concorrenza.

Se la documentazione è predisposta coerentemente con lo schema e i contenuti del provvedimento in materia e i verificatori confermano il giudizio di idoneità, l’eventuale rettifica dei prezzi applicati non espone la società al rischio delle sanzioni. La presentazione di un’istanza di accordo preventivo rappresenta la naturale evoluzione della gestione della compliance proattiva ma non è necessaria.

La società può decidere di predisporre la documentazione e di non presentare alcuna istanza o di presentare istanza per coprire solo una delle molteplici operazioni intercompany. L’eventuale astensione dal presentare una o più istanze di accordo preventivo non fa venir meno la strategicità della predisposizione della documentazione.

Il Tax Control Framework è un validissimo strumento per la gestione del rischio fiscale, fondamentale per evitare di esporre la società a rischi, finanziari e non finanziari, derivanti dalla violazione delle norme fiscali.

Dopo aver lavorato sulle procedure fiscali ed aver costruito il Tax Control Framework, la società può quindi valutare, verificati i presupposti soggettivi, se accedere al regime di adempimento collaborativo.

Regime di adempimento collaborativo. Cenni

Come già anticipato, la disponibilità di un Tax Control Framework è la condizione necessaria, ancorché non sufficiente, per accedere al regime di adempimento collaborativo.

Per quanto riguarda il profilo soggettivo, esiste una regola e alcune eccezioni. La regola è che il contribuente debba realizzare un fatturato pari ad almeno € 5 miliardi.

Al momento dell’approvazione della legge la soglia di fatturato era pari a € 10 miliardi. Fin dall’entrata in vigore è stato stabilito che la soglia di fatturato debba essere progressivamente ridotta, fino ad arrivare ad ammettere al regime tutti i contribuenti con ricavi non inferiori a € 100 milioni.

Le eccezioni sono i contribuenti che hanno partecipato al progetto pilota del 2013 (in questo caso il fatturato deve essere almeno pari a € 1 miliardo), i soggetti che esercitano attività di indirizzo relativamente al Tax Control Framework (laddove siano comunque verificati i livelli minimi di fatturato), i soggetti che hanno ottenuto risposta all’interpello sui nuovi investimenti e intendono comportarsi in conformità a quanto indicato dall’Agenzia e, infine, i contribuenti appartenenti al gruppo IVA, laddove uno dei partecipanti aderisca al regime.

Il regime di adempimento collaborativo garantisce al contribuente un rapporto costante con l’Agenzia delle entrate (Direzione centrale), che diventa l’unico interlocutore del contribuente (con esclusione di altri uffici periferici dell’Agenzia e della Guardia di Finanza) per i controlli e le attività relativi a detto regime.

L’adesione al regime comporta la possibilità di pervenire con l’Agenzia ad una valutazione preventiva comune di situazioni suscettibili di generare rischi fiscali prima della presentazione delle dichiarazioni fiscali e di beneficiare di procedure di interpello abbreviate.

In caso di opinione difforme, il contribuente può mantenere la propria posizione e, se soccombe in contenzioso, beneficiare di una riduzione delle sanzioni al 50% e della sospensione della riscossione fino alla definitività dell’accertamento.

In caso di richieste di rimborsi di imposte, dirette e indirette, il contribuente non è tenuto a prestare garanzie.

Il regime premiale che il legislatore dovrebbe introdurre

L’amministrazione finanziaria dovrebbe investire in modo significativo nella relazione con i contribuenti, anche semplificando e agevolando l’adempimento spontaneo, per poter distinguere tra chi adempie, correttamente e tempestivamente e chi no, per poi concentrare la propria attività accertativa su questi ultimi.

Relativamente al tema oggetto della presente pubblicazione, dovrebbe incentivare l’adozione del Tax Control Framework da parte di un numero consistente di contribuenti.

Per ottenere questo risultato il legislatore e l’amministrazione finanziaria dovrebbero, da un lato, dare indicazioni più precise in merito alla costruzione e al contenuto di un Tax Control Framework che possa essere considerato idoneo; dall’altro lato dovrebbero escludere le sanzioni, sia amministrative sia penali, in presenza di un Tax Control Framework giudicato idoneo.

L’obiettivo è molto ambizioso e sfidante: oggi neanche chi entra a far parte del regime di adempimento collaborativo beneficia della non applicazione delle sanzioni. Le sanzioni amministrative, infatti, sono ridotte al 50%; con riferimento a quelle penali, l’adesione al regime di adempimento collaborativo rappresenta un’attenuante, non una causa di disapplicazione.

Se queste posizioni erano, in questi primi anni di vigenza del regime, accettabili, nella prospettiva dell’Agenzia, oggi non sono più sostenibili in una situazione in cui si vuole promuovere e incentivare l’adempimento proattivo spontaneo.

Le leggi devono essere introdotte ma poi costantemente riviste e adattate al mutato contesto, nazionale e internazionale.

La non applicazione di sanzioni, amministrative e penali, in caso di disponibilità di un Tax Control Framework giudicato idoneo, rappresenterebbe uno stimolo estremamente forte al miglioramento sostanziale del rapporto tra Agenzia e contribuenti e all’incremento dell’adempimento spontaneo.

In questo senso si è già espressa la Commissione Colao ma, da allora, si è persa la traccia di questa proposta. E’ opportuno che il legislatore e l’amministrazione finanziaria la riprendano quanto prima.