Corriere della Sera

La nuova Irpef? Da sola non basta, serve riforma fiscale

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La riforma dell’Irpef appena varata dal governo Draghi ha fatto a lungo discutere non solo per le nuove aliquote (scese da cinque a quattro) ma anche perché considerata il primo passo di una riforma fiscale che si annunciava più profonda e incisiva.

Ma questa riforma Irpef è abbastanza incisiva ed equa? Il dibattito è aperto tra gli addetti ai lavori, tra cui Giuseppe Bernoni, ex presidente nazionale dei commercialisti e presidente dello studio internazionale Bernoni Grant Thornton : «Sulla riforma Irpef sono stati privilegiati principalmente i redditi dei contribuenti del ceto medio che hanno constato durante questi ultimi anni una brusca contrazione del loro tenore di vita a seguito dell’aumento dei costi e degli oneri in misura rilevante - spiega Bernoni — La riforma è abbastanza incisiva, ha cercato solo in parte di ridurre le diseguaglianze e nel contempo sono state ridotte le aliquote fiscali relative ai redditi più elevati che erano eccessive».

Il risparmio Irpef al crescere del reddito è un meccanismo iniquo o inevitabile? «Stabilire se una riforma Irpef è equa o meno non è impresa facile, dipende da quale punto di vista si esamina l’onere derivante dalle diverse nuove fasce di reddito, in termini concreti si ritiene che una riforma come l’attuale criticata da più parti sociali, economiche e professionali, aventi interessi e posizione diverse o contrastanti, possa rappresentare una soluzione accettabile». 

I tasselli mancanti

Cosa manca a questa manovra per essere considerata una riforma fiscale? Quali voci mancano? «L’Irpef non è la sola imposta che incide sui contribuenti — ricorda Bernoni — quindi per valutare la nuova Irpef si richiede un esame delle norme fiscali vigenti che attendono una vera e propria riforma fiscale degna di questo nome. In effetti salvo alcune modifiche parziali di fondo ma limitate effettuate dopo la grande riforma del 1972/3 si è proseguito senza limiti a continui strappi nel logorato sistema tributario allorché le necessità di bilancio lo richiedevano, senza alcun criterio oggettivo ponendo in difficoltà anche esperti dell’Amministrazione finanziaria, professionisti e imprese.

È noto che tale riforma richiede un approccio politico molto attento e determinato per realizzare un sistema più semplice con norme chiare, effettuando le necessarie semplificazioni, vietando le continue modifiche a strappo effettuate solo per esigenze di cassa. Che brutta fine ha fatto lo statuto del contribuente, la sua introduzione aveva suscitato tante positive speranze di miglioramento seppur in termini relativi pendenti le modalità inaccettabili sopra menzionate! Una vera e propria riforma deve contribuire alla crescita del paese facilitando le imprese, anche straniere, che investono in Italia, consentendo loro di pianificare i propri interventi con i relativi oneri senza sorprese come è avvenuto in passato».

Sul fronte delle professioni, la riforma è stata efficace? Cosa manca tra le norme attese? «Sul piano delle professioni ci sarebbe tanto da dire — afferma Bernoni — ma accenno soltanto alla carenza di attenzione del legislatore che avendo introdotto una norma necessaria per consentire agli studi professionali di consolidarsi e favorire la nascita di strutture idonee ad una sana competizione, anche nei confronti di organizzazioni improvvisate straniere, ha completamente trascurato di prevedere gli aspetti fiscali. Infatti, secondo l’Amministrazione Finanziaria la trasformazione di uno studio associato in società professionale, consentito dalla legge citata, dovrebbe essere assoggettata ad oneri elevati, mentre norme analoghe non sono previste per le imprese societarie esistenti le cui operazioni straordinarie sono agevolate».