Momento Finanza

Acquisizioni e fusioni per uscire dalla crisi

Sante Maiolica
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In un periodo di sfide economiche e sociali senza precedenti, nonostante la crisi che stiamo vivendo non sia di natura finanziaria, ma pandemica, sono proprio gli strumenti finanziari a venire in aiuto.

La finanza straordinaria è lo strumento idoneo in questo contesto? Forse no, o comunque non solo, come spiega Sante Maiolica, partner di Grant Thornton Financial Advisory Services per l’area M&A. È il momento per la piccola e media imprenditoria italiana di pensare ad acquisizioni, fusioni, Private Equity e partnership.

Lo stato di salute delle imprese italiane

Prima di stabilire quali siano gli strumenti finanziari più adatti per affrontare la crisi, è necessario capire quanto le aziende fossero “preparate” ad affrontare questo momento.

Usando una metafora: le aziende italiane hanno un sistema immunitario adeguato al periodo che stanno vivendo? Qual è il loro assetto patrimoniale? Non bisogna dimenticare, infatti, che il nostro tessuto economico ha recentemente affrontato due fasi di recessione: quella del 2008-2009 e poi, nel 2012-2013, la crisi economica della Grecia e del debito sovrano europeo. Queste due recessioni hanno portato a una sorta di “selezione naturale” delle imprese, a favore di quelle con un assetto patrimoniale solido e una capitalizzazione sana. Lasciando comunque le imprese di oggi spossate e con scarsa competitività.

Cosa succederà “post Covid”, dal 2021?

Cosa succederà quando le attività riprenderanno e tutte le misure di finanza straordinaria messe in campo dal Governo verranno meno? Il sistema pubblico ha implementato sistemi finanziari di breve termine, lo Stato è intervenuto pesantamente con due macro categorie di strumenti: quelli per limitare il cash-out (ad esempio, la moratoria debiti bancari, la cassa integrazione, la sospensione delle imposte) e quelli per incentivare il cash-in (tra cui citiamo i contributi a fondo perduto e le garanzie statali al servizio del debito sul sistema bancario).

Queste misure presto finiranno: questo è “un doping” che non può perdurare, anche per il bene stesso dell’impresa. Un fattore importante è il tempo: le aziende dovranno organizzarsi con anticipo, senza prescindere dal confronto con dipendenti, banche, soci, ecc, per intraprendere azioni in maniera coordinata.

Fusioni e acquisizioni, le ripercussioni a lungo termine

Chi è sopravvissuto finora è un soggetto resiliente, che era meglio diversificato sul mercato geografico, che aveva un migliore sistema di distribuzione e di value chain. Chi ha approcciato la crisi “con le spalle grosse” ha retto meglio.

Questo ha innescato una serie di derivate positive: ad esempio merito creditizio, talenti e competenze che si sono avvicinati ai contesti solidi… E gli altri? Divenire resilienti in tempi brevi è possibile, attraverso operazioni di acquisizioni e fusioni. Le aziende più piccole e meno diversificate, quelle che non sono in grado di fare acquisizioni, devono prendere in considerazione di mettersi insieme a un soggetto più grande.

Solo le aziende che saranno capaci di integrarsi tra loro tramite acquisizioni, possono pensare di rendere le loro organizzazioni più adeguate al contesto.

Le acquisizioni nel DNA dell’impresa

Sappiamo che la maggior parte degli imprenditori italiani non accetterebbe di vendere la propria azienda perché in difficoltà. In realtà, questa visione “padronale” del fare impresa è ormai superata. Il sistema è cambiato, i piccoli “laboratori artigianali” senza una sufficiente competitività e presenza capillare sul mercato non possono più esistere. Tutte le aziende dovrebbero prendere in considerazione acquisizioni con cadenza regolare, per entrare in nuovi mercati, a livello ordinario.

Comprare non significa speculare su aziende in crisi e acquisire quote di mercato. Oggi è il momento di aggregarsi. Tanto che negli ultimi anni la maggior parte delle operazioni sono state di industria su industria, portando aziende a collaborare in maniera organica. Chi investe non acquisisce il 100% della società, ma percentuali minori. L’azienda acquisita continua a mantenere la sua autonomia, il vecchio imprenditore rimane nel gruppo.

Per fare acquisizioni servono dotazioni finanziarie… qual è la soluzione?

Il Private Equity è soluzione più immediata, mette a disposizione competenze e risorse e negli anni ha dimostrato di saper investire proficuamente in aziende del mid-market italiano, favorendone il percorso di internazionalizzazione, managerializzazione, concentrazione e consolidamento.

È il tempo di superare certe remore e i pregiudizi: i fondi negli anni hanno ampliato e modificato la loro offerta, non si tratta più di mere operazioni di maggioranza invasive. Il mercato si è aperto a soluzioni legate ad aumenti di capitali, sviluppo di impresa, soci silenti con ruolo da azionisti e, spesso, il Private Equity svolge un ruolo da “cabina di regia”, lasciando la gestione all’impresa.

Il Private Equity per finanziare la crescita

Gli investimenti in private equity sono considerati da tempo come una potenziale fonte di capitale per il mid-market. Infatti, per molte imprese, trovare il giusto partner PE – che sia allineato con i propri obiettivi – è stato un catalizzatore per la crescita e questa tendenza potrebbe continuare.

In un periodo di sfide economiche e sociali senza precedenti che ha costretto le imprese a rivedere i propri obiettivi non solo finanziari ma soprattutto strategici, il Private Equity può ora più che mai assumere un ruolo chiave per il supporto e lo sviluppo delle attività economiche e rappresentare una valida alternativa di finanziamento. Nonostante il settore stia subendo la pressione del “fenomeno Covid” che si riflette in rallentamenti in termini sia di market scouting sia di negoziazioni, l’ingente liquidità dei fondi e i tassi di interesse fortemente competitivi li spingono sempre alla ricerca di nuove opportunità di investimento.

Il ruolo delle banche

Non sempre l’equity investment è possibile, soprattutto in periodo di crisi. Una derivata importante è lo strumento del debito. Le banche negli ultimi anni si sono attrezzate per comprendere l’impresa e competere nel mercato. Oggi sempre più si sono specializzate in verticalizzazioni industriali e possono parlare il linguaggio dell’imprenditore. Le banche sono cambiate, sono partner finanziari da coinvolgere non solo per prestiti e mutui, ma anche a livello strategico.

Il consiglio, quindi, è quello di gestire il cash flow utilizzando la banca come interlocutore attivo.